Le origini del castello di Donnafugata risalgono all'anno Mille, cioè ai tempi dei Saraceni o Arabi come vengono chiamati oggi. I quali, completata la conquista della Sicilia, la fortificarono con torri e fortezze, soprattutto nei punti ritenuti strategicamente più importanti. Fra questi compresero la località che denominarono "Aian as iafaiat", ovvero "Fonte della salute", poichè in quelle vicinanze vi era e vi e' ancora una sorgente di acqua salutare. Non si sa come e perché i ragusani dell'epoca tradussero Aia in Ronna (donna). Sta di fatto che Ronna, adattato ai vocaboli arabi as iafaiat, generò la denominazione dialettale di "Ronnafuata", corrispondente all'italiano Donnafugata.
Indipendentemente dalle origini della denominazione, una cosa è certa: quel punto piuttosto elevato dal mare, da cui si osserva il mare di Punta Secca, Scoglitti, Gela, Licata ed anche le alture agrigentine, i Saraceni lo fortificarono erigendovi una torre.
Nel 1093, quando i Normanni espugnarono i Saraceni da Ragusa, edificarono questa città a contea e divisero il suo territorio in feudi. Così, la località venne denominata feudo Donnafugata, che i vari conti di Ragusa, susseguitisi da Goffredo il Normanno in poi, assegnarono ai loro seguaci più valorosi, nominandoli baroni di Donnafugata.
Verso l'anno 1300, per volontà del conte di Ragusa Manfredi Chiaramonte, nel feudo Donnafugata venne costruito un modesto castello.
Nel 1410, morto il re di Sicilia Martino I, sua moglie Bianca di Navarra fu nominata reggente e regina di Sicilia. Si racconta che durante la sua reggenza, il conte di Ragusa Bernardo Cabrera, sebbene vicino la vecchiaia, chiese alla giovane e bella regina di sposarla; così con una fava avrebbe preso due piccioni: una giovane moglie ed il regno di Sicilia. Poiché la regina rifiutò di sposarlo, Bernardo Cabrera, che disponeva di un esercito proprio, la perseguitò, la catturò e la fece rinchiudere nel castello di Donnafugata, da dove con l'aiuto dei soliti servi fedeli disposti a morire per la propria regina, riuscì a fuggire e raggiungere il castello Maniace di Siracusa. Successivamente raggiunse Catania ed infine Palermo, da dove ordinò l'arresto del conte Cabrera, facendolo condurre dinanzi al re di Spagna per farlo condannare.
Abile stratega, scaltro, crudele, potente come nessun altro sull’isola il Conte Berardo Cabrera era temuto persino dai sovrani di Palermo che non fecero nulla per ridimensionare il suo potere e proprio per questo il re decise di graziarlo.
Entrato nella leggenda divenne oggetto di una serie di storie popolari. Si diceva, ad esempio, che nascondesse un tesoro consistente in una capra tutta d’oro, la quale sarebbe saltata fuori dal luogo in cui era nascosta dopo un complicato incantesimo. Si raccontava inoltre, che facesse fare una brutta fine a tutti coloro che lo ostacolavano e soprattutto ai suoi nemici.
Nel 1648, il feudo Donnafugata, dal barone Guglielmo Bellio Cabrera passò al barone Vincenzo Arezzo, che lo tramandò ai suoi eredi.
Siccome nel Settecento tra i nobili ragusani era invalsa l'abitudine di trascorrere i mesi estivi nelle casine, o ville di campagna, la famiglia Arezzo trasformò il modesto castello eretto nel 1300 in casina, lasciando intatta la torre trecentesca.
Nell'Ottocento, il feudo e la casina Donnafugata furono ereditati dal barone Corrado Arezzo, eclettico uomo di studi e politica.
Fu il barone Corrado Arezzo che verso il 1865 intraprese l'opera di trasformazione della casina in castello, che sorge su un'area di circa 2500 metri quadrati, con 122 stanze.
Attraverso varie generazioni, giunse a Clementina Paternò Arezzo, vedova del visconte Gaetano Combes de Lestrade.
La loro fu una bellissima storia d'amore nata verso la fine del secolo scorso, mentre era ospite nel castello di Donnafugata, il visconte s'innamorò di Clementina Paternò Arezzo, nipote del barone. Poiché l'amore gli veniva corrisposto, un bel giorno di primavera, gli innamorati decisero la "fuitina" cioè presero l'iniziativa di recarsi presso la vicina Punta Secca ed imbarcarsi su un battello, dirigendosi verso l'isola dell'amore.
Il barone, appena venuto a conoscenza della fuitina, ordinò a don Mario, suo uomo di fiducia, d'inseguirli, raggiungerli a tutti i costi e riportarli al castello. Raggiunti, in nome del barone ordinò ai fuggitivi di ritornare al castello, dove come tante altre fuitine si concluse con le solite nozze riparatrici. E vissero felici nella lontana Parigi, non dimenticando di venire a trascorrere le ferie estive nel castello di Donnafugata che secondo il popolo oltre che per la fuga della regina Bianca, è così denominato anche per la loro fuitina.
Il visconte e la viscontessa ebbero una figlia, Clara, che sposò il conte Testasecca. Un loro figlio, Gaetano, divenuto proprietario del castello, nel 1982 lo ha venduto al comune di Ragusa per la somma di un miliardo.
Gli interni del castello
Il castello, diviso su tre piani, conta oltre 120 stanze di cui una ventina sono oggi fruibili ai visitatori. Visitando le stanze che contengono ancora gli arredi ed i mobili originali dell'epoca, sembra quasi di fare un salto nel passato, nell'epoca degli ultimi "gattopardi". Ogni stanza era arredata con gusto diverso ed aveva una funzione diversa. Da ricordare la stanza della musica con bei dipinti a trompe-l'oeil, la grande sala degli stemmi con i blasoni di tutte le famiglie nobili siciliane e due antiche armature, il salone degli specchi, la pinacoteca con quadri neoclassici della scuola di Luca Giordano. Notevole, poi, il cosiddetto appartamento del vescovo, con splendidi mobili Boulle, riservato esclusivamente all'alto prelato.
Il parco
Intorno al castello si trova un ampio e monumentale parco di 8 ettari. Contava oltre 1500 specie vegetali e varie "distrazioni" che dovevano allietare e divertire gli ospiti, come il tempietto circolare, alcune "grotte" artificiali dotate di finte stalattite o il particolare labirinto in pietra costruito nella tipica muratura a secco del ragusano.
Molto particolare è il fatto che nel parco si trovino degli scherzi che il barone ha fatto disporre per allietare le giornate, altrimenti noiose, al castello. Un esempio: su di un sedile è stato posizionato un irrigatore, che entrava in funzione quando un ospite ci si sedeva sopra. Un altro scherzo del barone burlone veniva attivato quando aprivano una particolare cappella posta in fondo al parco - ne usciva un monaco di pezza, spaventando la vittima dello scherzo. Attualmente gli scherzi non sono attivati, ma si sta lavorando per rimetterli in funzione. Inoltre nel parco si trovano delle tombe vuote, il cui scopo leggendario era di spaventare le donzelle: spinte dal terrore della vista di un corpo morto, andavano a rifugiarsi dal barone che era più che felice di consolarle.




Commenti
Posta un commento