Castelluccio di Gela





Il Castello Svevomeglio conosciuto come “Castelluccio” si erge su una collina di gesso e domina la costa a difesa della città di Gela.
Le origini del Castello risalgono, secondo antichi documenti storici, al 1143 quando il conte Simone di Butera donò all'abate del Monastero di San Nicolò l'Arena di Catania alcune terre site nell’area meridionale della contea ed il Castelluccio viene citato come termine di confine all’estremità orientale dei beni assegnati al monastero.
Il Castello è stato costruito utilizzando la calcarenite gialla e grandi blocchi di calcare bianco, si presenta inoltre privo di decorazioni e merletti, caratteristiche che ne esaltano maggiormente la sua funzionalità.
Per quanto riguarda l'aspetto architettonico la pianta è rettangolare con mura spesse e due possenti torri situate ai lati: la torre ad ovest presenta ancora i resti di una cisterna e di un sala ancora in parte visibile, nella la torre ad est, invece, si può ammirare una cappella scavata nella parete.
L’interno, in origine, era diviso da cinque archi ogivali, disposti trasversalmente, finalizzati a sostenere la copertura.
Il castello, probabilmente, era organizzato a più piani vista la doppia file di finestre visibili dall'esterno ed anche se ormai sono rimasti solo dei ruderi si possono ancora ricostruire le funzioni delle varie parti.
Sono, comunque, ancore presenti parti degli ambienti dedicati alle stalle ed all'armeria e qualche sala residenziale.
Gli interventi sul Castelluccio hanno riguardato da una parte il restauro dell’immobile, dall’altra la realizzazione di una serie di scavi per individuare le prime fasi di vita dell’edifìcio.
Durante gli scavi, si sono evidenziate diverse fasi di vita e una serie di profonde trasformazioni architettoniche (notevole è la presenza nella parete meridionale di un camino con colonnine trecentesche alla base) di cui l’ultima, che doveva trasformare il castello in palazzo e che è rimasta incompleta. Interessanti, infine, sono risultati i vetri, i bronzi, i ferri e i resti dei manufatti ceramici, databili tra la fine del XIV e la prima metà del XV secolo, rinvenuti nelle varie campagne di scavo all’interno del Castelluccio.
Nel XIII secolo il castello, con le vicine terre, fu dato in feudo ad Anselmo Moach di Modica e ai suoi eredi fino al 1364; durante il regno di Martino d’Aragona l’edifìcio e le terre passarono a Buggero Impanella, il quale nel 1422 li vendette a Simon de Carella coppiere regio.
Successivamente castello e terre vennero in possesso al patrimonio degli Aragona Cortes di Terranova e poi ai Pignatelli prima di finire agli enti pubblici territoriali.
Nel 1993 il Castelluccio fu aperto al pubblico e subito ebbe una significativa quantità di presenze; però, dopo quasi sei anni fu chiuso con la motivazione che la zona era infestata da zecche.
Il Castelluccio, purtroppo è ancora chiuso al pubblico, forse per mancanza di custodi o per mancanza di finanziamenti.



La leggenda del castelluccio

Ancora oggi, quelli che furono ragazzi una volta, riportano i racconti, le favole e le leggende che hanno imparato a conoscere dai loro nonni.
Una di queste è certamente la leggenda del Castelluccio.
Viveva fra quelle mura una nobildonna di cui si perse il nome, forse perché nessuno osava chiamarla per nome tanta era la paura che essa incuteva ai suoi visitatori che erano costretti a chiamarla con il nome de “La Castellana”.
Essa era la moglie di un signorotto a cui era stato affidato questo maniero per difendere la zona dalle incursioni dei saraceni, e quindi di tanto in tanto vi erano riunioni di gente d’armi.
La Castellana era una donna molto alta ed esile con una bellissima chioma nera che arrivava fin sotto le spalle ed erano lisci e setosi.
Le labbra erano truccate con del rossetto verde così come le unghie delle sue mani.
Era una strana figura di donna tanto bella quanto crudele che riusciva ad ammaliare gli uomini che venivano a contatto con lei, con la sua voce soave  intonava delle canzoni che ella stessa scriveva, per poi  farli sparire senza lasciare nessuna traccia.
Nessuno è mai riuscito a sapere da dove potesse prendere quel rossetto verde tanto che alcuni pensavano che fosse frutto della sua bile che ella riusciva ed estrarre dal proprio corpo  e confezionare nel segreto del suo castello.
Nella conduzione del suo maniero era feroce con i servitori e quando doveva uscire dal castello, anche per pochi metri, indossava un mantello bicolore, verde all’esterno e azzurro all’interno.
E quelle pochissime volte che usciva a cavallo tutti gli uomini lasciavano i lavori dei campi per nascondersi tanto era il terrore che incuteva.
Nessuno le faceva visita, i nobili per trattare di affari con lei mandavano dei messaggeri che nella maggior parte delle volte non facevano ritorno dai loro padroni, a volte neanche i colombi viaggiatori tornavano.
Solo le persone adibite alle armi non potevano rifiutarsi a frequentare quel posto.
La sera poi era un incubo passare da quelle parti perché il castello era abitato dai fantasmi, persone ricche e famose, condottieri e genti d’armi, nei loro costumi, si aggiravano nel maniero in cerca della pace perduta e per custodire i loro averi che la Castellana aveva loro carpito e messo insieme e che quindi facevano parte della cosiddetta “truvatura”.
E lei, La Castellana parlava e discuteva con loro come se nulla fosse accaduto, come se fossero persone vere, persone vive.
Poi non si sentì più nulla e quel maniero sembrava diverso, chissà perché... si domandavano alcuni proprietari limitrofi.

I più coraggiosi si misero assieme e pian piano si avvicinarono al castelluccio…e grande fu la loro sorpresa nel constatare che esso era disabitato…semplicemente disabitato come fino ai giorni nostri.


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